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Comunicato 11/04/2011
“I DIRIGENTI PENITENZIARI: PRESIDIO IRRINUNCIABILE DI RAGIONEVOLEZZA E LEGALITA”
Qualche giorno fa un’altra organizzazione sindacale dei direttori, esprimeva le legittime preoccupazioni sulla figura professionale dei dirigenti penitenziari, denunciando nei fatti quella che per alcuni può apparire come la “rottamazione” dei direttori penitenziari e degli uffici di esecuzione penale esterna, visto il modo distratto con il quale il Governo tratta la questione del nostro 1° contratto di lavoro e le cose penitenziarie in genere.
Pur comprendendo l’amarezza, francamente, non si ritiene opportuno seguire tale logica di auto-deprezzamento, ne tanto meno cadere nello sconforto, pur riconoscendo la gravità della situazione che non soltanto noi, ma tutto ciò che è istituzionale, e ci è attorno, sta vivendo.
Come potrebbe pensarsi ad un sistema penitenziario funzionale, e con punte di eccellenza, in un panorama in cui fa acqua quello giudiziario e quando l’amministrazione si muove in assenza di risorse minime e di una ideazione strategica, che provi di superare le logiche del contingente e sappia guardare per davvero al Futuro ? Ciononostante noi dobbiamo persistere nell’offrire ai cittadini ed allo Stato un servizio pubblico coerente con il dettato costituzionale, rispettoso delle regole e dei principi di umanità ed uguaglianza.
Care colleghe e colleghi, noi non siamo il centro del Mondo, ma siamo comunque importanti, necessari, fondamentali, perché anche noi siamo, nella forma e nella sostanza, autorità di sorveglianza, i primi e onnipresenti garanti interni dell’ordinamento penitenziario, siamo sentinelle di “legalità” nelle carceri e nel sistema dell’esecuzione penale.
Faticoso crinale tra la sicurezza ed il trattamento, siamo i garanti dei diritti umani dei detenuti ed abbiamo a cuore la tutela del personale penitenziario, dei nostri collaboratori, sia di polizia che non: forse per questo vogliono liberarsi di noi. Un sistema penitenziario che facesse meno dei direttori d’istituto e di uepe risulterebbe, ictu oculi, sbilanciato, allarmante, poco sicuro per i cittadini, per le persone detenute e per i nostri operatori penitenziari.
Per essere “Direttori”, oltre che le necessarie competenze giuridico-amm.ve, occorrono doti speciali, umane soprattutto, occorre essere per davvero convinti che, senza se, senza ma, la dignità della persona vada sempre salvaguardata e difesa, risultando “must” centrale della nostra missione istituzionale.
Non si tratta di una visione “romantica”, velleitaria, ma di un condizione irrinunciabile in un sistema statuale per davvero democratico e trasparente.
Le pene, che siano detentive o meno, vanno eseguite, ma la loro esecuzione non significa affatto lo stravolgimento dei principi di legalità e dei diritti che, in loro nome semmai, taluni vorrebbero considerare non valevoli per alcune categorie di persone, perché colpevoli della commissione di reati più o meno gravi, o perché di altra lingua e nazione, o perché portatrici di malattie mentali, o perché soggetti disturbatori con i loro stili di vita “tossici”, estremi, irrituali o perché ritenuti “ diversi.
Forse per altre figure professionali sarebbe opportuno parlare di incomprensibile e anacronistica presenza: è infatti giunto il momento di chiedere che si esca dalla logica di curatela permanente che l’amm.ne deve subire, continuando ad avere ai massimi vertici dei magistrati piuttosto che dei dirigenti penitenziari, e questo non per una logica di “poltrone”, ma per evitare che si vivano situazioni amministrative imperfette, in quanto la funzione amministrava, anche nelle sue massime espressioni burocratiche, andrebbe sempre tutelata dal rischio di interferenze dirette ed indirette con altre funzioni e poteri.
Se addirittura oggi non desta più “scandalo” ipotizzare due distinti Consigli Superiori della Magistratura, distinguendo tra quello giudicante dall’altro requirente, ancor di più dovrebbe, nel rispetto dei principi generali di separazione dei poteri, distinguersi tra magistrati e funzionari amministrativi, ancorché dirigenti generali e capi del DAP.
Insomma, è verso questa direzione che dovremmo orientare i nostri sforzi di categoria, colpevole in realtà di vegliare, di continuare a guardare, di esprimere una leale, ma non per questo meno severa, dialettica con gli interlocutori politici e dell’alta amministrazione, le cui decisioni e scelte amministrative non di rado sembrano decontestualizzate rispetto a ciò che viviamo sul “fronte penitenziario”. Dobbiamo continuare a rappresentare i numerosi nonsense di disposizioni e circolari “impossibili”, di accordi quadro tanto ingannevoli, perché senza copertura economica e/o le risorse umane necessarie, quanto demagogici e populisti, che hanno favorito un clima, da noi non voluto, di conflittualità verso gli appartenenti al Corpo della Polizia Penitenziaria e/o il Personale Ministeriale.
La nostra colpa è quella di avere denunciato l’assenza di ogni serio sforzo di programmazione ragionata e soprattutto reale del fabbisogno economico e di quello umano delle risorse, nell’aver costantemente denunciato la timidezza dell’amm.ne nell’esigere ed imporre attenzione da parte dell’organo politico, in particolare da parte della Funzione Pubblica e del ministero dell’economia, in quanto non sono ragionevoli i “tagli lineari” alla spesa, soprattutto quando è di tutta evidenza che, crescendo nella società civile la sensibilità verso la condizione delle persone detenute e quelle, sempre più corrispondenti, del Personale, a fronte in particolare dell’aumento progressivo delle persone ristrette, la spesa non poteva che lievitare e non certo decrescere.
L’assenza di un vero “ragionamento” sul sistema penitenziario ha portato al punto che oggi non siamo in grado di fare anche la più modesta manutenzione ordinaria degli immobili e degli impianti carcerari, non siamo in grado di pagare il prezzo dell’energia elettrica e dell’acqua, etc., con la conseguenza che di fatto siamo esposti a rischi, quantomeno morali, incalcolabili, perché tutti noi sappiamo le cose che non vanno, al punto che, nei fatti, ci autodenunciamo, pur di sentirci meno oppressi nella nostra coscienza deontologica, nel nostro essere “servitori dello Stato” e non sgherri prezzolati, tantoppiù con le “briciole” rispetto a quanto abbiamo sacrosanto diritto di percepire, sia in termini economici che di gratificazioni giuridiche, trattamenti pensionistici e premialità.
Purtroppo, avviluppati da una emergenza che non finisce mai e che siamo, per certi versi, pure giunti a metabolizzare e cronicizzare, non siamo sempre stati in grado di spiegare alla collettività , se non negli ultimi anni, il nostro continuo affanno civile.
Ora è giunto il momento di fare chiarezza, di rinsaldare il rapporto fondamentale e necessario con tutti i nostri collaboratori sia del Corpo che del comparto ministeri, e non dobbiamo aspettare che gli altri ci tendano la mano, dobbiamo essere quelli che la porgono per primi ( sempre nel nome dello spirito di responsabilità che permea la nostra funzione) in quanto non c’è più tempo, e lo si vede dalla stanchezza e dalla ipocrisia con la quale vengono trattate, a tutti i livelli, le questioni penitenziarie.
Lo dobbiamo a noi stessi, lo dobbiamo alle colleghe ed i colleghi che ci hanno preceduto in questi anni, lo dobbiamo ai tanti colleghi che negli ultimi mesi e prossimamente andranno in quiescenza: persone meravigliose che rischiano di andar via con l’amarezza di avere lavorato “a vuoto”, di non aver visto fruttificare il loro impegno, i loro sacrifici, lo sforzo costante per tradurre in termini di sicurezza, civiltà e legalità il sistema dell’esecuzione penale.
A tal proposito, vorremmo, insieme a tutti i colleghi del Consiglio Direttivo e del SI.DI.PE., mandare un caro saluto alle colleghe Antonietta PEDRINAZZI, dirigente nazionale sindacale, così come a Patrizia GAROFALO, dirigente UEPE di Catania.
A loro voglio ricordare che stiamo provvedendo a perfezionare gli atti che consentiranno anche ai nostri dirigenti, pensionati, di poter continuare a far parte della famiglia del SI.DI.PE., in quanto non vogliamo assolutamente disperdere quel patrimonio di umanità e di partecipata conoscenza professionale che i nostri colleghi hanno accumulato nel tempo, intendendo coinvolgerli fattivamente in progetti diversi.
Quindi “non rottamazione” ma, al contrario, civile e necessario rilancio di una figura professionale cardine nel mondo penitenziario, assolutamente irrinunciabile.
L’altro giorno, nell’incontro tenutosi a Roma con il Capo del DAP sulle iniziative che si vorrebbero assumere, abbiamo apprezzato, pur rimarcandone la tardività, il necessario coinvolgimento di tutte le componenti professionali penitenziarie, e nei prossimi giorni formalizzeremo le nostre osservazioni, posto che un gruppo di colleghi vi sta lavorando. Non sappiamo se si tratti di un effettivo mutamento di stile del Dipartimento o se, invece, questa manovra nasconda un diversivo, soprattutto non riusciamo ad individuare gli strumenti concreti, seppure fatti oltre il tempo massimo, con i quali per davvero si intendano sciogliere i nodi del sistema, prima di tutti quello del nostro mancato contratto collettivo nazionale di lavoro.
Insomma, non siamo fiduciosi, le parole non bastano più.
Entro giugno p.v. contiamo di organizzare GLI STATI GENERALI PENITENZIARI, confidando sulla partecipazione di tutte quelle componenti sindacali del personale penitenziario che non siano rinunciatarie, perché si disegnino nuovi modelli organizzativi ed organici, più efficaci, belli ed incisivi, e si parli rivolgendosi, finalmente, a TUTTO IL PERSONALE PENITENZIARIO. Certamente sarà un impegno rilevante, ma con il Vostro aiuto ce la faremo.
Segretario Nazionale
Dr. Enrico SBRIGLIA

 

 

 

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