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Comunicato del 28 ottobre 2012 - Prot. n.72/T/2012 | 28/10/2012 |
Emergenza penitenziaria e spending review dei diritti fondamentali dell’uomo.
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- La Deputata Rita Bernardini in sciopero della fame e della sete - |
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Se c'é ancora qualcuno in questo nostro Paese che si indigna e fa sentire il proprio dissenso, civile e non violento, sulla disastrosa condizione delle carceri italiane, forse allora non tutto é ancora perduto.
Dalla mezzanotte del 24 ottobre la Deputata radicale Rita Bernardini e la segretaria dell’associazione radicale “Il Detenuto Ignoto“ Irene Testa hanno iniziato uno sciopero della fame che alterneranno allo sciopero della sete per ribadire la necessità di un provvedimento di amnistia, perché sia posta fine alla persistente violazione della legalità in cui versa la giustizia italiana e la sua appendice carceraria, così come dichiarata dalla stessa Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato nel suo ultimo Rapporto sullo stato dei diritti umani negli istituti penitenziari e nei centri di accoglienza e trattenimento per migranti in Italia. Un’azione nonviolenta per richiamare l’attenzione di tutti, Istituzioni e cittadini, sulla gravissima situazione di emergenza penitenziaria che, indubbiamente, segna la debacle del sistema giustizia e la mancanza di uno Stato di diritto cui si assiste quotidianamente nelle carceri italiane, nelle quali persiste una situazione di oramai cronica e oggettiva violazione della Costituzione - come denunciato anche dal Presidente della Repubblica, primo garante della Carta - della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, della Dichiarazione universale O.N.U. dei diritti umani. La Corte europea dei diritti dell'uomo ha evidenziato che l’art. 3 della Convenzione impone allo Stato di assicurare che le persone detenute vivano in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione del provvedimento limitativo della libertà personale non provochino all'interessato uno sconforto e un malessere di intensità tale da eccedere l'inevitabile livello di sofferenza legato alla detenzione e che, tenuto conto delle necessità pratiche della reclusione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati in modo adeguato. Dal 1959 al 2010 la Corte europea dei diritti umani ha condannato l'Italia 2.121 volte per violazioni della Convenzione: il nostro Paese è al secondo posto, ma in fondo alla classifica, su 47 Stati membri ed è dietro solo alla Turchia. Dal 2008 a oggi l’ O.N.U. ha inviato ben 92 raccomandazioni al nostro Paese riguardo la violazione di diritti umani. Secondo i dati del Ministero della Giustizia, al 19 settembre 2012 le persone detenute nelle carceri italiane erano oltre 66.640 e di queste 26.633 senza una sentenza di condanna definitiva (circa il 43 per cento del totale) e, di queste ultime quasi 14.000 in attesa di primo giudizio, a cui devono aggiungersi 1.327 internati: a fronte di una capienza regolamentare, nei 206 istituti di pena, di 45.742 posti. Nel 2011 su un totale di 186 persone decedute nei penitenziari italiani, 63 sono stati suicidi. Già 51 i suicidi dall’inizio del 2012. Senza contare che oramai spesso si registrano suicidi degli operatori penitenziari. Questi sono segnali molto forti che indicano un grave stato di sofferenza della comunità penitenziaria, non solo dei detenuti ma anche delle persone che lavorano in carcere. Diventa ogni giorno più evidente la necessità che si adottino provvedimenti urgenti che consentano di intervenire sulle cause che sono all’origine di questa situazione oramai insostenibile. Il Si.Di.Pe. – che è l’organizzazione sindacale che raccoglie il maggior numero dei dirigenti penitenziari - lo ha già detto e continua a ripeterlo: i Dirigenti penitenziari vivono un profondo disagio e provano una grande frustrazione di fronte all’impossibilità oggettiva di assicurare il pieno esercizio del mandato istituzionale loro affidato, assicurare la sicurezza dei cittadini ma anche il recupero della persona detenuta, nel rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e dalle norme internazionali. E adesso la situazione rischia addirittura di peggiorare, perché sullo stato drammatico di un'emergenza penitenziaria mai vista prima si sta abbattendo lo tzunami delle riduzioni degli organici del personale penitenziario previste dalla spending review (art.2 D.L. 95/2012 convertito in L.135/2012), che finirà con il privare molte carceri del suo direttore in sede, situazione gravissima perché il direttore è il primo garante dei principi di legalità nell’esecuzione penale, essendo armonizzatore delle esigenze di sicurezza e di quelle trattamentali. Questa situazione sposterebbe l’asse gestionale del carcere, per forza di cose, su altre figure e se dovessero venire meno le già ridotte figure professionali del trattamento, pur esse interessate dalla spending review (anzitutto funzionari giuridico-pedagogici e funzionari della professionalità di servizio sociale) questo asse non potrà che ruotare intorno al personale di polizia penitenziaria, cosicché la dimensione del penitenziario diverrà per forza di cose prevalentemente sicuritaria. Gravissime saranno le conseguenze anche per gli uffici di esecuzione penale esterna che, svuotati di dirigenti e di funzionari della professionalità di servizio sociale, non saranno in grado di funzionare e le misure alternative alla detenzione non troverebbero alcuna possibilità di applicazione, cosicché l’asse dell’esecuzione penale si sposterebbe ancora e totalmente sul carcere, con conseguenze di sovraffollamento ben peggiori di quelle alle quali stiamo assistendo oggi con circa 67.000 detenuti stipati nelle celle. Per evitare il disastro ulteriore, di questa che potremmo definire una “spending review dei diritti fondamentali dell’uomo” perché su di essi inciderebbe nelle carceri, la Camera dei Deputati ha approvato l’Ordine del giorno n. 9/5389/531, la cui prima firmataria è proprio la Deputata Rita Bernardini, che è stato accettato dal Governo2 ma che è rimasto ancora inesitato e diversi Parlamentari hanno presentato interrogazioni parlamentari3. Ecco, allora, che se c'é ancora qualcuno che ha la forza e la convinzione di protestare per rivendicare i diritti fondamentali anche degli ultimi e, ultimi tra gli ultimi, delle persone detenute, allora c'é forse ancora speranza, la speranza che non si siano ancora del tutto smarrite le centinaia di anni di cultura giuridica di questo nostro Paese, che non si sia del tutto perso quel buon senso che avrebbe da tempo dovuto condurre gli organi competenti, primo tra tutti il Parlamento, a pensare ad un carcere diverso, ad un carcere minimo: un luogo in cui la pena detentiva é assolutamente necessaria per proteggere la comunità sociale in relazione al pericolo ed alla gravità effettiva della condotta criminale; un carcere minimo, cioè, che consegue ad un diritto penale minimo per il quale la pena detentiva é l'extrema ratio; un carcere che non costituisca una modalità attraverso la quale accertare la verità che consegue solo a un giusto processo; un carcere che non sia strumento improprio per risolvere i problemi sociali, dalla follia alla droga, dall'immigrazione al disagio sociale ed alla povertà; un carcere che consegue ad una sentenza definitiva di condanna pronunciata a seguito di una durata ragionevole del processo; un carcere nel quale la custodia preventiva, quella cioè cautelare che precede la sentenza, é adottata in casi eccezionalissimi e indispensabili; un carcere nel quale la pena sia limitata alla privazione della liberà personale, quella libertà che é il bene dei beni, che ha lo stesso valore per tutti; un carcere nel quale si perde la libertà ma non la dignità e dove trovi spazio quel senso di umanità che distingue la pena dalla vendetta sociale, lo stato di diritto dallo stato della barbarie, la democrazia vera da quella fasulla, dall'oligarchia e dal totalitarismo; un carcere della speranza dove a partire dal rispetto dei diritti umani minimi, che competono cioè alla persona umana in quanto tale, ancorché detenuta, si costruisca una pena che pure emendi, rieduchi l'uomo e lo riconduca migliorato nella società. Parlare dei diritti degli ultimi non è cosa facile, pretendere che essi siano riconosciuti, non é operazione semplice e lo é ancora meno se questi ultimi sono coloro che sono detenuti, di certo non é operazione che crea consenso, perché riguarda i cattivi, o quelli che cattivi si presume siano ( sono circa il 43 % i detenuti imputati, in custodia cautelare quindi, secondo la Costituzione italiana innocenti sino a sentenza definitiva di condanna). É più facile cedere alle lusinghe ed alla convenienza del consenso proponendo sempre piú carcere, utilizzando e strumentalizzando una necessità di sicurezza che solo con “tutti i cattivi dentro” si proclama realizzabile. E se lí dentro, nelle patrie galere, i “cattivi” ed i “presunti cattivi” non hanno spazio neppure per muoversi, se devono fare i turni per dormire su un letto, fare la doccia, andare i bagno, che importa. Se non gli si può garantire nulla, un colloquio con l'educatore o con lo psicologo, quel lavoro che la legge vuole obbligatorio per rieducarsi, pazienza, non glielo ha prescritto il medico di andare in carcere. Se per fare spazio agli imputati per presenziare ai processi ci sono i condannati che dovranno necessariamente essere trasferiti lontano dalla loro terra, da quegli affetti familiari che la Costituzione e l’Ordinamento penitenziario vorrebbero fossero promossi, che importa! , non si vorrà forse che prima o poi si dia oltre la tv anche la possibilità di fare sesso in carcere con la moglie o la fidanzata! , e se qualcuno si taglia le vene o si impicca perché avverte l'inutilità di quella non vita, senza presente né futuro, che importa! , sarà un cattivo in meno. Si tratta di pensieri purtroppo diffusi, come semi di erbe cattive seminati sul terreno del facile consenso, legato anche al falso concetto di “certezza della pena” che fa coincidere la pena con il carcere; luoghi comuni, non sempre contrastati da chi ha responsabilità politiche, che hanno portato nel tempo ad un'ipertrofia del diritto penale ed a una congestione del sistema penitenziario, che si è così ripiegato esclusivamente sul carcere, unica pena ritenuta utile alla sicurezza, dimenticando che la sicurezza si costruisce anche in altro modo, perché nel carcere non si sta in eterno, non in tutti i casi comunque, perché dopo la detenzione c'é la libertà e laddove nulla sia migliorato dentro tutto sarà peggiore fuori e genererà nuova e maggiore insicurezza e sempre altro carcere. E poi, il carcere costa e, forse, proprio in tempi di spending review dovrebbe pensarsi a ridurne l’applicazione a casi di effettiva necessità invece che di ridurre le risorse umane e finanziarie che servirebbero per rendere il carcere conforme ai principi di diritto e capace di assicurare anche quel suo mandato rieducativo voluto dalla Costituzione e dalla normativa internazionale. Accettare che il carcere possa giustificare non solo una compressione ma addirittura una violazione dei diritti umani minimi, perché questo avviene quando il carcere legittima e giustifica un’ afflizione che vada oltre quella che discende naturalmente dalla limitazione della libertà personale, è davvero molto pericoloso perché conduce inevitabilmente ad una regressione sociale. Tutelare e garantire i diritti di coloro che hanno commesso degli errori e che per questo sono detenuti, tutelare e garantire i diritti anche dei “cattivi” è un’assicurazione della democrazia e della civiltà. Il sistema di detenzione «ruota intorno a due capisaldi, entrambi importanti: da un lato tutelare la società da eventuali minacce, dall'altro reintegrare chi ha sbagliato senza calpestarne la dignità ed escluderlo dalla vita sociale. Entrambi questi aspetti hanno la loro rilevanza e sono protesi a non creare quell'abisso tra la realtà carceraria reale e quella pensata dalla legge, che prevede come elemento fondamentale la funzione rieducatrice della pena e il rispetto dei diritti e della dignità delle persone». Sono queste le parole che il 18 dicembre dello scorso anno il Papa Benedetto XVI ha pronunciato in occasione della Visita Pastorale alla Casa Circondariale Nuovo Complesso di Rebibbia. Per queste ragioni, nell’esprimerle solidarietà, vogliamo avere la speranza che il dissenso non violento della Deputata Rita Bernardini a questo stato di cose possa scuotere le coscienze civili e democratiche del nostro Paese, dei cittadini ma anche e soprattutto di coloro che hanno responsabilità politiche e istituzionali, perché il nostro Paese torni ad essere culla di cultura, del diritto e della legalità. Ma occorrono risposte immediate. Il Segretario Nazionale Rosario Tortorella PRESIDENTE Cinzia CALANDRINO SEGRETARIO NAZIONALE VICARIO Francesco D’ANSELMO SEGRETARIO NAZIONALE AGGIUNTO Nicola PETRUZZELLI ___________________________________________________ 1 Seduta di annuncio: 678 del 07/08/2012 - Primo firmatario: BERNARDINI RITA Gruppo: Partito Democratico Data firma: 07/08/2012 - co-firmatari dell'atto: BELTRANDI MARCO, FARINA COSCIONI MARIA ANTONIETTA, MECACCI MATTEO, TURCO MAURIZIO, ZAMPARUTTI ELISABETTA, CAPANO CINZIA (Partito Democratico); FARINA RENATO (Popolo della Libertà). 2 seduta del 07 luglio 2012, nella persona del Sottosegretario di Stato all’Economia e Finanze Gianfranco POLILLO. 3 interrogazioni a risposta scritta: la n.4/18159 del Deputato Daniele TOTO (FLI) nella seduta della Camera dei Deputati n.705 del 17.10.2012 ; la n.4-08483 del Senatore Salvo FLERES (Membro Gruppo CN:GS-SI-PID-IB-FI) e n.4-08486, del Senatore Achille SERRA (Membro del gruppo UDC-SVP-AUT:UV-MAIE-VN-MRE-PLI-PSI), entrambe nella seduta del Senato della Repubblica n.818 del 23.10.2012 |
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