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COMUNICATO - Prot. n.117/T/2013.38 del 03 aprile 2013 03/04/2013
I Dirigenti penitenziari e il progetto di realizzazione dei circuiti penitenziari regionali per affrontare l’emergenza penitenziaria
Negli ultimi giorni si fa un grande parlare, non sempre a proposito, dei Circuiti penitenziari regionali ex art. 115 DPR 30 giugno 2000 n. 230, il progetto varato dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria per far fronte all’emergenza penitenziaria, presentato in conferenza stampa lo scorso 21 marzo e che progressivamente sarà attuato su tutto il territorio nazionale, frutto dell’approfondita conoscenza penitenziaria di un dirigente penitenziario, oggi Vice Capo DAP, come Luigi Pagano.  Si tratta, evidentemente, di un progetto che affronta il problema dell’emergenza penitenziaria dal lato dell’Amministrazione Penitenziaria, in relazione alle sue possibilità di intervento rispetto ad un problema dato.  L’emergenza penitenziaria, infatti, discende da problemi strutturali che traggono origine da una cultura errata secondo la quale l’unica pena possibile ed adeguata per un fatto costituente reato sarebbe quella del carcere, da una ipertrofia del diritto penale, da un depotenziamento delle misure alternative, da un uso abnorme della custodia cautelare. Il Si.Di.Pe.,dopo un ampio dibattito interno della Segreteria Nazionale, ha per questo formulato, prima dell’avvio della XVII legislatura, una proposta di “Agenda per l’Emergenza penitenziaria” rivolta a tutte le forze impegnate nella competizione elettorale, un’agenda di cose che, a prescindere da un provvedimento di clemenza, potrebbero essere realizzate a cura del nuovo Parlamento e del prossimo Governo per risolvere i gravi problemi penitenziari. 
Il progetto dei Circuiti penitenziari regionali certamente non può essere risolutivo dei problemi del sistema della giustizia penale e del penitenziario ma, si ritiene di poter affermare, che esso rappresenta un aiuto importante per dare respiro al carcere abbassando i disagi e le tensioni  discendenti dal sovraffollamento, attraverso una diversa perimetrazione dello spazio detentivo ed una maggiore apertura per i detenuti a  bassa pericolosità, misure, queste, associate ad un modello dinamico, perché ragionato e costantemente rimodulato, di vigilanza da parte del personale di polizia penitenziaria e inteso innovativamente come il modello di base della attuazione della vigilanza interna, specialmente negli istituti a custodia attenuata. In vero gli operatori penitenziari da sempre sono consapevoli, per esperienza diretta, che le persone detenute ammesse a regimi detentivi che consentono una maggiore apertura, adeguatamente seguiti dal personale penitenziario, sviluppano un maggiore senso di responsabilità, riducendo la loro aggressività e il rischio di atti autolesionistici o autosoppressivi, circostanze che determinano un oggettivo aumento dei livelli di sicurezza. 
E’ ovvio che il progetto implica il potenziamento dei sistemi di sicurezza e dovrà trovare il sostegno della società esterna, attraverso l’apporto del  volontariato e della società cosiddetta civile (compresi gli Enti territoriali, la cooperazione sociale,  l’imprenditoria) così come è ovvio che dovranno essere implementate le attività del trattamento e le opportunità lavorative, senza dimenticare che molte progettualità trattamentali in carcere da sempre le Direzioni degli istituti le realizzano con il contributo del volontariato ed a basso se non a nessun  costo. Ovviamente non si può nascondere che esistono degli oggettivi limiti legati alle diverse realtà territoriali del Paese, che vivono di un tessuto socio economico molto diverso al nord, al centro e al sud.  Questo progetto dei Circuiti regionali, perciò, non può essere risolutivo dell’emergenza carceraria ma è qualcosa di importante che l’Amministrazione Penitenziaria poteva fare e sta facendo, innovando e assumendo una responsabilità diretta attraverso l’emanazione di disposizioni rivolte a sostenere l’agire delle Direzioni degli istituti penitenziari e degli operatori, compresi gli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria. 
Il resto è competenza e responsabilità della politica
che deve considerare l’emergenza penitenziaria, e quella più generale della giustizia, un’assoluta priorità e conseguentemente adottare provvedimenti urgenti e di sistema per evitare ulteriori condanne dopo la sentenza  n.007, datata 08.01.2013, che la Corte di Giustizia Europea dei diritti dell’uomo (C.E.D.U.) ha irrogato all’Italia per la persistente violazione dell’art.3 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali”.  Ed è sempre compito della politica prevedere risorse umane (direttori, poliziotti penitenziari, educatori, assistenti sociali, psicologi, amministrativi ecc.) e finanziarie adeguate per far funzionare le carceri e gli uffici di esecuzione penale esterna. 
E’ assolutamente evidente, a chiunque abbia buon senso, che le criticità del sistema penitenziario dipendono da problemi che stanno fuori e prima del carcere e che possono essere risolti solo con interventi strutturali, strutturati e sistemici (a partire dal codice penale, per passare a quello di procedura penale, alle leggi sull’immigrazione e sulla tossicodipendenza, per  finire all’ordinamento penitenziario con il potenziamento delle misure alternative). Se nulla di tutto questo, che è compito della politica, è stato fatto (e se nulla sarà fatto) all’Amministrazione penitenziaria non resta grande spazio di manovra e, probabilmente, la stessa Amministrazione e con essa gli operatori penitenziari dovrebbero rivendicare che quel che si sta facendo è davvero molto rispetto alle reali possibilità ed ai vincoli normativi esistenti.
A chi tenta maldestramente di imputare all’Amministrazione penitenziaria ed ai dirigenti penitenziari,   ogni sorta di disfunzione del sistema dell’esecuzione penale o di eventi che avvengono in ambiente penitenziario (e altrove), dalle evasioni ai suicidi di detenuti, con affermazioni completamente slegate da ogni qualsivoglia nesso causale con la realtà, il Si.Di.Pe. oppone  il proprio più fermo dissenso perché questa è un’operazione ingiusta nei confronti di chi lavora realmente e concretamente per arginare l’emergenza penitenziaria ed è, anche, un’operazione che sposta l’attenzione dai reali centri di responsabilità, distorcendo la realtà.
Non si può non ricordare che esistono leggi che favoriscono il sovraffollamento, così come non si può non ricordare che in carcere il 40 % circa delle persone detenute è imputata (quindi teoricamente innocente) in stato di custodia cautelare ed è dunque evidente che in Italia esiste un abuso del ricorso alla custodia cautelare. Ricordiamo, allora, che la custodia cautelare è un provvedimento di competenza della Magistratura e non dell’Amministrazione Penitenziaria. 
Ricordiamo, anche, che nonostante la modifica dell’art.558 c.p.p. (intervenuta con il D.L. 22.12.2011 n. 211, il c.d. decreto “svuota carceri” o “salva carceri”,  convertito con L. 17.02.2012 n.9), per la quale la custodia in carcere dell’arrestato può essere disposta in  casi eccezionali e solo con decreto motivato del Pubblico ministero, ancora oggi in moltissime realtà è completamente disattesa con formule stereotipate e di rito, in totale elusione della norma.  Spesso, infatti, vengono condotte in carcere “illegittimamente” persone che in carcere non dovrebbero entrare e che, invece, dovrebbero  essere mantenute in camera di sicurezza presso l’ufficio di polizia che ha curato l’arresto, per essere condotte dinanzi al giudice per la convalida e il contestuale giudizio direttissimo, la cui udienza il giudice deve fissare  entro quarantotto ore dall'arresto ed alla quale spesso segue la scarcerazione. In questi casi l’ingresso in carcere oltre ad essere disposto contra legem,  crea al soggetto incarcerato un trauma non sempre diagnosticabile e conseguentemente determina un rischio suicidario altissimo.
E in questi casi non è infrequente, purtroppo,  il tentativo di imputare al direttore ed al personale di polizia penitenziaria episodi infausti che trovano le reali responsabilità fuori e prima del carcere.
E’ opportuno, inoltre, ricordare, che le misure alternative alla detenzione sono di competenza della magistratura di sorveglianza e non dell’Amministrazione penitenziaria, e se è vero che la normativa ha ridotto le possibilità di accesso alle misure alternative, soprattutto in relazione ai reati ostativi ed al carattere più esasperato della recidiva, è anche vero che la Magistratura di sorveglianza è sempre più imorosa nell’applicazione di tali misure, salvo poi a trovare rinnovato vigore quando si tratta di accogliere i reclami delle persone detenute che giustamente lamentano condizioni di vita difficili a causa del sovraffollamento al quale pur essa in qualche modo talvolta concorre.
Se tutto questo dipende da altri, all’Amministrazione penitenziaria non resta grande spazio di manovra e, allora, la revisione dei Circuiti regionali e la proposizione di un nuovo modello organizzativo di “vigilanza dinamica” non è poca cosa, ma è, invece, un’importante azione di intervento da parte dell’Amministrazione in relazione ai limiti con i quali essa deve confrontarsi.
Importante è, inoltre, senza ombra di dubbio il carattere innovativo della prevista condivisione delle responsabilità di questo nuovo modello organizzativo da parte dei livelli superiori dell’Amministrazione, Dipartimento e Provveditorato.
E in tal senso assume grande importanza che in DAP abbia previsto tanto l’approvazione da parte del Provveditorato della nuova determinazione dei posti di servizio (da effettuarsi sulla base delle effettive risorse umane disponibili), quanto la compartecipazione del Dipartimento, in tutte le sue articolazioni e livelli, alle responsabilità in ordine al trattamento, alla sicurezza e alla tutela delle persone.
Occorre dare atto, quindi, che  il DAP dopo lunghi anni di silenzio è promotore di un progetto d’insieme che coinvolge, responsabilizza, valorizza la dirigenza penitenziaria e tutti gli altri operatori, per tentare di dare senso compiuto al loro lavoro.
La dirigenza penitenziaria, come sempre, è pronta ad accettare la sfida. Il resto, come già detto, è compito anzitutto della politica.
La dirigenza penitenziaria, però, auspica e confida che chi riveste ruoli di più elevata responsabilità nell’Amministrazione Penitenziaria voglia anche, e con reale condivisione di una istanza di giustizia che è urlata dal Si.Di.Pe., porre in essere ogni possibile e più utile intervento nelle competenti sedi politiche, perché sia assicurata al personale della carriera dirigenziale penitenziaria dignità giuridica ed economica, ricordando che questi servitori dello Stato sono gli unici dirigenti, anzi gli unici lavoratori pubblici, privi di contratto di lavoro, nonostante esso sia previsto dalla legge istitutiva della carriera e siano trascorsi otto anni dalla emanazione di tale legge, e tutto ciò mentre non è stata data attuazione neppure all’art. 28 del D.Lgs. n.63/2006 che prevede la ricostruzione di carriera.

Il Segretario Nazionale
Rosario Tortorella

PRESIDENTE
Dott.ssa Cinzia CALANDRINO
 
SEGRETARIO NAZIONALE VICARIO
Dott. Francesco D’ANSELMO
 
SEGRETARIO NAZIONALE AGGIUNTO
Dott. Nicola PETRUZZELLI 



 

 

 

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