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COMUNICATO - Prot. n.156/T/2013.77 del 13 ottobre 2013 13/10/2013
SiDiPe: Dopo il messaggio del Capo dello Stato Giorgio Napolitano alle Camere, tocca al Parlamento dare urgenti risposte all’emergenza carceri.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, in visita al carcere di Napoli Poggioreale, il 28 settembre scorso, aveva detto “Pongo al Parlamento un interrogativo: se esso ritenga di prendere in considerazione la necessità di un provvedimento di clemenza, di indulto e di amnistia'', ed ha aggiunto, "Non è solo la sentenza di Strasburgo che noi dobbiamo rispettare; noi dobbiamo rispettare un imperativo umano e morale".
E poi aveva annunciato: "È pronto il mio messaggio al Parlamento sulla situazione delle carceri. Per trasmetterlo aspetto soltanto un momento di maggiore serenità e attenzione politica perché mi auguro venga letto e meditato".
E, difatti, il carcere deve essere solo limitativo della libertà personale perché la nostra Costituzione all’art. 27 prevede che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato".
Così, superata l’enpasse della crisi di Governo e avendo le Camere confermato la fiducia all’esecutivo Letta, il 2 ottobre, a distanza di meno di una settimana, l’8 ottobre, il Capo dello Stato, come aveva promesso, ha indirizzato il suo annunciato messaggio alle Camere!
Ha detto della drammatica questione carceraria, partendo dalla sentenza (Torreggiani e altri sei ricorrenti contro l'Italia), con la quale, l'8 gennaio 2013, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha accertato, secondo la procedura della sentenza pilota, la violazione dell'art. 3 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali”, che, sotto la rubrica "proibizione della tortura", pone il divieto di pene e di trattamenti disumani o degradanti a causa della situazione di sovraffollamento carcerario.
Il Capo dello Stato ha posto l’attenzione sul fatto che, come rilevato dalla Corte, "la violazione del diritto dei ricorrenti di beneficiare di condizioni detentive adeguate non è la conseguenza di episodi isolati, ma trae origine da un problema sistemico risultante da un malfunzionamento cronico proprio del sistema penitenziario italiano, che ha interessato e può interessare ancora in futuro numerose persone" e che "la situazione constatata nel caso di specie è costitutiva di una prassi incompatibile con la Convenzione", rammentando che, in materia di condizioni detentive, i rimedi “preventivi”' e quelli di natura “compensativa” devono considerarsi complementari e vanno quindi apprestati congiuntamente.
Napolitano ha, poi, ricordato che con voto unanime la Corte di Strasburgo ha fissato il termine di un anno perché l'Italia si conformi alla sentenza, sospendendo, in pendenza di detto termine, le procedure relative alle "diverse centinaia di ricorsi proposti contro l'Italia"; ricorsi che, in assenza di effettiva, sostanziale modifica della situazione carceraria, appaiono destinati a sicuro accoglimento stante la natura di sentenza pilota.
E poiché la sentenza è divenuta definitiva il 28 maggio 2013, data in cui è stata respinta l'istanza di rinvio alla Grande Chambre della Corte, presentata dall'Italia al fine di ottenere un riesame della sentenza, il termine concesso dalla Corte allo Stato italiano verrà a scadere il 28 maggio del 2014.

C’è allora poco tempo perché il Parlamento intervenga.

Infatti, come il Capo dello Stato ha ricordato, l’art. 46 della Convenzione europea stabilisce che gli Stati aderenti "si impegnano a conformarsi alle sentenze definitive della Corte sulle controversie nelle quali sono parti" e questo impegno, secondo l'interpretazione costante della Corte costituzionale (a partire dalle sentenze n. 348 e 349 del 2007), rientra nell'ambito dell'art. 117 della Costituzione, secondo cui la potestà legislativa è esercitata dallo Stato "nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali".
In particolare, recentemente la Corte costituzionale ha stabilito che, in caso di pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo che accertano la violazione da parte di uno Stato delle norme della Convenzione, "è fatto obbligo per i poteri dello Stato, ciascuno nel rigoroso rispetto delle proprie attribuzioni, di adoperarsi affinché gli effetti normativi lesivi della Convenzione cessino".
Da qui deriva il dovere urgente di fare cessare il sovraffollamento carcerario rilevato dalla Corte di Strasburgo, più ancora che di procedere a un ricorso interno, pure richiesto, idoneo ad offrire un ristoro per  le condizioni di sovraffollamento patite dai detenuti per le condizioni degradanti ed inumane delle carceri italiane.
Quest’ultimo rimedio, che è intervento sussidiario, oltre a mantenere lo Stato italiano in una condizione di illegalità sarebbe una non soluzione irragionevolmente e gravemente dispendiosa per le finanze pubbliche. Da qui l’invito del Presidente della Repubblica al Parlamento di intervenire percorrendo congiuntamente più strade, da una parte quella di ridurre il numero complessivo dei detenuti, attraverso innovazioni di carattere normativo-strutturale e dall’altra quella dell’aumento della capienza complessiva degli istituti penitenziari.
In vero il Si.Di.Pe. ripete oramai da anni che l’emergenza penitenziaria discende da problemi strutturali che traggono origine dall’errata cultura secondo la quale il carcere è l’unica pena utile per un fatto costituente reato, da una ipertrofia del diritto penale, dal depotenziamento delle misure alternative, da un uso eccessivo della custodia cautelare, dalla durata eccessiva dei processi.
Per questo il Si.Di.Pe. aveva formulato, prima dell’avvio della XVII legislatura, una proposta di “Agenda per l’Emergenza penitenziaria” a tutte le forze impegnate nella competizione elettorale, con proposte di interventi normativi che avrebbero potuto essere realizzati dai nuovi Parlamento e Governo, per risolvere i gravi problemi penitenziari. Ed alcuni interventi, in vero, sono stati adottati ma restano assolutamente insufficienti per rispondere agli obblighi ed ai tempi imposti dalla Corte di Strasburgo.
I rimedi di carattere normativo-strutturale, assolutamente necessari, hanno tuttavia bisogno di tempi tecnici assolutamente incompatibili con il termine fissato dalla sentenza "Torreggiani" che scadrà, come già detto, il 28 maggio 2014.
Per questa ragione il Si.Di.Pe. è d’accordo con il Capo dello Stato e al suo appello al Parlamento aggiunge il proprio: é indispensabile che il Parlamento consideri l'esigenza di rimedi straordinari e, più esattamente, l'indulto e l’amnistia, in forma congiunta.
Difatti, tranne che si ipotizzi un’amnistia che riguardi anche reati molto gravi, circostanza davvero poco concretizzabile, il suo effetto sul sovraffollamento delle carceri italiane sarebbe risibile perché porterebbe a marginali riduzioni di pena per detenuti che, unitamente alla sanzione per gravi reati, scontano anche quella per i reati minori ricompresi nell’amnistia. L’amnistia serve, quindi, a consentire agli uffici giudiziari di orientarsi verso la definizione dei procedimenti per i reati più gravi, eliminando i procedimenti minori che, comunque, sistematicamente vanno verso la prescrizione.
L’amnistia, unita all’indulto, eviterebbe, quindi, di portare avanti processi sostanzialmente inutili, poiché la pena sarebbe comunque condonata.
L'amnistia, infatti, consiste nella rinuncia dello Stato a perseguire determinati reati attraverso un provvedimento generale di clemenza che estingue il reato, estinguendo sia la pena principale che quelle accessorie, ove comminate, e i processi in corso, mentre l'indulto è un provvedimento con il quale viene condonata o commutata dal Parlamento parte della pena per i reati commessi prima della presentazione del disegno di legge di indulto. L'amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi e non si applica ai recidivi, nei casi previsti dai capoversi dell'articolo 99 Codice Penale, né ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza, salvo che la legge non disponga diversamente.
L’ultima amnistia è stata concessa con D.P.R. 12 aprile 1990, n.75 e riguardava reati con pene fino ai quattro anni (escludendo i crimini finanziari e quelli di corruzione). Dal 1992 la legge ha stabilito che l'amnistia debba essere votata in parlamento a maggioranza qualificata di due terzi dei componenti di ciascuna Camera.
L’ultimo indulto, invece, è stato concesso con la Legge 31 luglio 2006, n. 241, nella misura non superiore ai tre anni per le pene detentive e fino a 10.000 euro per le pene pecuniarie, ma con l'esclusione di alcuni reati di particolare allarme sociale tra cui mafia, terrorismo e pedo-pornografia. La Costituzione per l'approvazione della legge di indulto richiede una maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera.
Il Si.Di.Pe., già da tempo si è espresso favorevolmente nei riguardi di un provvedimento di clemenza, ritenendo che esso sarebbe oggi non una resa dello Stato ma un segno di responsabilità e di civiltà, perché le carceri italiane potrebbero contenere al massimo 47.615 persone e invece ne contengono 64.758 e perché il sistema penitenziario italiano, nonostante una riduzione percentuale rispetto all'anno precedente, ha guadagnato per il 2012 l’intollerabile primato del sovraffollamento tra gli Stati dell'Unione Europea, con un indice percentuale tra detenuti presenti e posti disponibili negli istituti penitenziari (ovverosia l'indice del "sovraffollamento carcerario") pari al 140,1% 1
Il Si.Di.Pe., come peraltro il Capo dello Stato, non pensa che amnistia e indulto siano la soluzione, crede, però, che sono gli unici strumenti per uscire nell’immediato dall’attuale situazione di persistente illegalità dello Stato, tuttavia occorre che contemporaneamente siano avviati quegli interventi strutturali e sistemici che servono ad evitare che le carceri tornino a riempirsi di nuovo perché, questa si, sarebbe una sconfitta!
Sostenere, come fanno alcuni, che amnistia e indulto inficeranno il principio di certezza della pena e ridurranno la sicurezza dei cittadini non risponde al vero.
Difatti nessun significativo aumento della criminalità si è mai registrato quando tali provvedimenti sono stati varati e peraltro è possibile stabilire un filtro, per esempio escludendo taluni reati. A ciò si aggiunga che secondo i dati dell'Ufficio Statistico del D.A.P., delle persone scarcerate per fine pena il 68,45 per cento torna in carcere una o più volte nell'arco dei successivi sette anni. Delle persone uscite dal carcere per l'ultimo indulto del 2006 (L. 241/2006) sono tornate a delinquere il 33,92 per cento.
Riguardo alla certezza della pena occorre ricordare che la pena non è solo il carcere e, quindi, che tale certezza si può ottenere anche con pene alternative alla detenzione per reati non gravi e odiosi.
Non solo, il 38% delle persone detenute nelle carceri italiane sono imputate, cioè persone che secondo la Costituzione sono innocenti sino all’eventuale sentenza definitiva di condanna. Più precisamente, secondo i dati del D.A.P. i detenuti "in attesa di primo giudizio" sono circa il 19% del totale; quelli condannati in primo e secondo grado complessivamente anch'essi circa il 19%, mentre il restante 62% sono "definitivi" cioè raggiunti da una condanna irrevocabile.
Di certo il carcere che oggi abbiamo non solo è fuori legge ma contrasta anche con qualunque principio etico e morale e si allontana inesorabilmente sempre più dalla funzione rieducativa che la Costituzione ha assegnato alla pena.
Un’ulteriore conferma della gravità della situazione arriva, a meno di 24 ore di distanza dal messaggio del Capo dello Stato sulle carceri, con la pronuncia del 09 ottobre c.a. della Corte Costituzionale, la quale – come ha spiegato la Consulta in una nota – “ha ritenuto inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Sorveglianza di Venezia e di Milano, dirette a consentire alla magistratura di sorveglianza il rinvio dell'esecuzione della pena previsto dall'art. 147 del codice penale anche nel caso in cui la stessa debba svolgersi in condizioni contrarie al senso di umanità per il sovraffollamento carcerario. La Corte ha ritenuto di non potersi sostituire al legislatore essendo possibili una pluralità di soluzioni al grave problema sollevato dai rimettenti, cui lo stesso legislatore dovrà porre rimedio nel più breve tempo possibile. Nel caso di inerzia legislativa – conclude, però, la Consulta - la Corte si riserva, in un eventuale successivo procedimento, di adottare le necessarie decisioni dirette a far cessare l'esecuzione della pena in condizioni contrarie al senso di umanità”.
Attualmente l'articolo 147 del codice penale consente, infatti, il rinvio dell'esecuzione della pena solo in casi specifici: gravidanza, puerperio, Aids conclamata o altra malattia particolarmente grave.
Quello della Corte Costituzionale, quindi, è un altro avvertimento.
Anche per questo è urgente che il Parlamento intervenga e, naturalmente, esso ha il dovere di adottare, oltre che provvedimenti immediati di clemenza, interventi normativi che spostino l’asse della penalità dal carcere alle misure alternative, promuovendo, attraverso le leggi, un mutamento culturale e rendendo più veloce il processo penale, perché solo così può ridursi quell’eccesso di carcerazione che ancora caratterizza la nostra legislazione, pur senza trascurare, ma senza enfatizzare, le esigenze di sicurezza.
Il Si.Di.Pe., peraltro, ritiene che in un momento di così grave crisi economica, il risparmio di spesa che discenderebbe da provvedimenti di clemenza dovrebbe essere destinato anche al miglioramento del sistema penitenziario, per renderlo coerente con i principi internazionali e costituzionali di rispetto della dignità della persona detenuta e della finalità rieducativa della pena.
In tal senso occorre implementare le risorse di personale, a partire dai dirigenti penitenziari il cui numero si è ridotto progressivamente, giacché ad essi è demandato il governo degli istituti e degli uffici di esecuzione penale esterna, quali garanti del contemperamento delle esigenze di sicurezza e di quelle trattamentali.
Il carcere costituisce realtà complessa e necessita di risorse professionali adeguate per il suo funzionamento amministrativo (contabili, amministrativi, ecc.) non meno di quelle per la gestione del detenuto sotto il profilo pedagogico e del reinserimento sociale (anzitutto educatori ed assistenti sociali).
Per questo va presto definitivamente sciolta ogni incomprensibile riserva che impedisce di riconoscere che il sistema penitenziario, nel suo complesso, fa parte dei più generali sistemi della sicurezza e della giustizia e come questi deve essere escluso da ogni tipo di riduzione delle risorse umane, la cui progressiva diminuzione, senza alcun ricambio, sta ulteriormente inficiando il suo funzionamento.
Tale concetto è stato autorevolmente rimarcato anche dal precedente Ministro della Giustizia allorquando si è espresso nel senso “che il sistema penitenziario costituisce nel suo insieme una struttura dello Stato deputata a contribuire al mantenimento della sicurezza pubblica ed è, quindi, parte integrante delle strutture di sicurezza della Repubblica”2 , rendendo noto che il 4 ottobre 2012 aveva chiesto all’allora Ministro per la Pubblica Amministrazione e Semplificazione un'interpretazione che escludesse il personale Il Si.Di.Pe. confida che l’appello del presidente della Repubblica non cada nel vuoto e, in tal senso, esprime vivo apprezzamento per il fatto che il 10 ottobre la Commissione Giustizia del Senato ha deciso di calendarizzare per il prossimo martedì 15 ottobre l'esame di due disegni di legge su amnistia e indulto.
Di certo il Si.Di.Pe. ed i Dirigenti Penitenziari, a capo degli istituti carcerari e degli uffici dell'esecuzione penale esterna, non intendono essere lo schermo di protezione di nessuno, per questo si dissociano da posizioni puramente ideologiche di chiusura nei confronti di interventi urgenti e improcrastinabili sul carcere e sulla giustizia e vogliono che siano perfettamente chiariti i loro ambiti di responsabilità nella gestione delle carceri che dirigono, a fronte delle responsabilità di coloro che non li pongono nelle condizioni di svolgere il loro lavoro con dignità e nell'effettivo rispetto delle leggi, troppo spesso solo solennemente enunciate.

Il Segretario Nazionale
Rosario Tortorella
 

PRESIDENTE
Dott.ssa Cinzia CALANDRINO

SEGRETARIO NAZIONALE VICARIO
Dott. Francesco D’ANSELMO

SEGRETARIO NAZIONALE AGGIUNTO
Dott. Nicola PETRUZZELLI


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1da una ricerca dell’organizzazione indipendente International Center for prison studies), non essendo ancora disponibili i dati del Consiglio d'Europa
2cfr. intervento del 29.11.202 del sottosegretario Antonino Gullo all'interrogazione a risposta immediata in Commissione Giustizia n. 5-08488, nella seduta della Camera dei Deputati n.721 del 21.11.2012.


 

 

 

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