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LETTERA APERTA DEL 7 GENNAIO 2008 Agli Organi di STAMPA 07/01/2008
“DISAGIO PENITENZIARIO”
(Quando si suicidano gli operatori penitenziari)
Già il 22 dicembre scorso, il SI.DI.PE., quale sindacato maggiormente rappresentativo dei direttori delle carceri italiane, faceva cenno al problema dei suicidi riguardanti pure gli operatori penitenziari: l’estremo gesto autosoppressivo compiuto da un operatore penitenziario (che sia un direttore, oppure un appartenente al Corpo della Polizia Penitenziaria, non fa la differenza…) corrisponde sempre ad una sconfitta della comunità umana penitenziaria.
Le cause potrebbero essere diverse e concomitanti, se ne analizzeranno per il momento solo alcune:
- Una prima ragione potrebbe collocarsi nella costante mortificazione che si percepisce dall’agire di quanti, lontano dalle carceri, ed impegnati in attività amministrative che, invece di essere d’indirizzo e di governo, sono nei fatti di vera e propria gestione, indiretta, degli istituti, non di rado imponendo singolari adempimenti ed interpretazioni delle norme che neanche lontanamente il legislatore si era sognato di pensare e proporre, non solo non gratificano e valorizzano l’esperienza sul campo, “dietro le mura”, ma al contrario sostengono, se non suggeriscono al politico del momento, delle azioni finalizzate a svuotare le carceri di personale, nonché fortemente penalizzare e demotivare i superstiti operatori che vi rimangano.
Dopo avere tentato, senza successo, di svuotare le carceri di detenuti, con il provvedimento farsa dell’indulto, questa volta si assiste ad un esperimento diverso: le prigioni vengono progressivamente svuotate degli agenti, si preferisce destinarli in compiti supplementari e nuovi, “spargendoli” malamente sul territorio, benché comunque insufficienti nel numero e privi di mezzi, con la velleitaria pretesa di affidare ad essi, in un progressivo crescendo, compiti istituzionali che oggi sono svolti da pochi assistenti sociali e da migliaia tra poliziotti e carabinieri, oppure impiegandoli nella vigilanza dei palazzi di giustizia, o nella scorta e nella vigilanza di case dei “nuovi principi”, o bearsi di vederli solenni sui destrieri della polizia penitenziaria nei tornei ippici, oppure vederli “sbracciare” in gare internazionali di “vasca corta”, o inebriandoli con l’odore dell’erba tagliata dei campi di calcio di promozione, o servire caffè e distribuire merendine nei bar aziendali, oppure impegnarli, in centinaia se non migliaia, all’interno di strutture di natura esclusivamente amministrativa presso il Dipartimento dell’Amm.ne Penitenziaria ed altri uffici: insomma tutto va bene purché fuori dal carcere.
Intanto gli istituti tornano a scoppiare, soprattutto quelli del Nord, dove le Sezioni detentive sono sempre più desolatamente vuote di organici.
Sulla carta, il numero degli appartenenti al Corpo sembra rilevante, ma in realtà, a motivo soprattutto del cattivo utilizzo che se ne fa, esso è fortemente ridimensionato.
Nelle sezioni detentive, dove un solo posto di servizio, perché venga coperto per 24 ore, richiede non meno di 4 unità, c’è spesso il deserto…
Vi sono realtà dove un solo agente deve controllare 50, 100 ed anche più detenuti: 2 occhi a fronte di 100 o 200 occhi, 2 braccia a fronte di 100 o 200 braccia…
Cancelli e portoni corazzati (quando non sono rotti per mancanza di manutenzione ordinaria) che si aprono e si richiudono centinaia di volte. Detenuti che si incrociano in ogni momento e ti fanno domande, una sequela continua, senza fine e senza orario, in tutte le lingue del mondo, talvolta poste con fare educato, altre volte con arroganza, altre ancora con violenza verbale se non minaccia.
Non ci sono domeniche, non ci sono il Natale o il Ferragosto.
Moderna Corte dei Miracoli del 21° secolo: aids, tbc, epatiti, autolesionismi, tentativi e conta dei suicidi, mutilazioni, pianti, processi, pene, pene, pene…
- Lo stipendio, sempre quello, anzi di meno, con l’inflazione che ritorna, aumentando i costi per affrontare le rapide sortite a casa, spesso nel Sud d’Italia o nelle Isole. Non interessano i superstipendi dei parlamentari e quelli dei Boiardi di Stato, è sufficiente fare il confronto con quelli degli uscieri e commessi parlamentari: che differenza e che significato diverso che si da al lavoro in Italia !!!
Come ci si sentirà in quel momento, quale sarà il tono “dell’umore” dell’agente, del funzionario, del dirigente una volta rientrato in caserma o in casa, pur avendo portato a casa la pelle ???
- “Lavorare in carcere”: ogni qualvolta le forze dell’ordine e la magistratura assicurano alla giustizia un criminale, si intuirà che poi saranno gli operatori penitenziari a doverlo gestire; il carcere conseguentemente sarà destinato ad essere “un luogo di guerra in tempo di pace”, ma sappiamo anche che il carcere è lo Slum affollato da disperati di tutto il Mondo, è l’apoteosi delle contraddizioni, sempre pronto al momento di fusione nucleare, per cui, pur a fronte degli sforzi enormi che tutti gli operatori penitenziari fanno per realizzare un micro-clima disteso, sereno, ragionevolmente ordinato, basta poco, pochissimo, perché gli equilibri faticosamente raggiunti “saltino” improvvisamente, determinando forti situazioni di superlavoro, di stress, di angoscia.
- Orientare verso modelli civili di convivenza la popolazione detenuta, migliorare la qualità degli interventi degli operatori penitenziari, creare un clima rispettoso della dignità umana, sono obiettivi irrinunciabili ma sempre in bilico: la presenza progressiva di persone detenute spesso psicolabili, tossicodipendenti, di altri Paesi e culture, l’aumento delle problematiche sanitarie, le pressioni esercitate senza sosta dalle organizzazioni criminali, costituiscono un mix esplosivo, all’interno del quale una giornata lavorativa logora, consuma, divora tutte le risorse e l’entusiasmo anche dei migliori operatori penitenziari;
- Un’ora di lavoro in carcere non è corrispondente ad un’ora trascorsa in un posto di blocco stradale, in un’attività di polizia preventiva, in un’attività ordinaria d’indagine, in un’ora di insegnamento universitario, in un’ora di dibattito in udienza: per parafrasare, si può pensare ad un vigile del fuoco costretto a stare, durante tutto il suo orario nei turni di servizio, comprese le giornate domenicali e festive, per giorni, mesi, anni, e per tutta la sua carriera, costantemente accanto una brace pronta a riprendere vigore, se non ad un fuoco vero e proprio che potrebbe in un solo istante avvilupparlo.
E non è che quello dei pochi, superstiti, educatori, lo sia di meno, così per tutti coloro che costituiscono l’umanità degli operatori penitenziari delle carceri, compresi i direttori…
La ricerca di zone “fredde”, di contesti lavorativi meno impegnativi sul piano psicologico e fisico rispetto a quelli di un carcere, spiegano perché numerosi abbandonino: cosa può esserci di peggio del lavoro in sezione affollate di detenuti, in reparti tronfi di umanità dolente, in infermerie che richiamano alla mente i dispensari ed i “Lazzaretti”, in uffici delle matricole che scoppiano di numeri e fascicoli e dove un errore di scarcerazione si può pagare con un rinvio a giudizio ed una successiva pesante sanzione disciplinare, oppure nei nuclei traduzione, dove le poche unità di polizia penitenziaria sono costrette a macinare, ogni giorno, chilometri di strada trasportando, spesso su obsoleti furgoni i detenuti per i processi ???.
In realtà ciò che alletta molti è la possibilità di vivere una vita di poliziotti “normale”, di funzionari pubblici “normali”, con rischi normali, con stress normale, e non sotto costante pressione.
Nei turni di servizio, ove ci si conta sulle dita di una mano, spesso occorre supplire lì dove non mettono piede psichiatri, psicologi, medici, mediatori culturali, volontari e quant’altri affollano i dibattiti e costituiscono la c.d. “società civile”.
Tra l’altro la gente comune non sa che la legge finanziaria ha deciso il definitivo passaggio del sistema sanitario penitenziario a quello delle regioni, per cui saranno queste ultime e le aziende sanitarie a doversi preoccupare, sulla carta, della salute delle persone detenute, con la differenza, però, che se non curi il comune cittadino libero, questo potrà denunciare la malasanità, mentre se non si cureranno in tempo reale, tutti i giorni, festivi e notti comprese, primaverili ed agostane, le persone detenute, queste, alla meno peggio, “saliranno sui tetti…!”, non si limiteranno ad esporre la loro contrarietà in modo pacato, ed ancora una volta, in mezzo, tra i detenuti e le altre istituzioni, tra la rabbia degli esclusi-reclusi e la “società civile”, ci saranno gli operatori penitenziari …
Per fare il paio, la Legge Finanziaria neanche ha pensato di coprire il turn over dei dipendenti che andranno in pensione per raggiunti limiti d’età, o verranno riformati per le patologie le più diverse, non da ultime quelle che attengono la salute psichica. D’altra parte, non ha nemmeno assicurato presso gli istituti carcerari gli organici del personale penitenziario ed educativo, pur prefissati da anni in Decreti Ministeriali, continua scandalosamente a consentire che vi siano, ancora oggi, carceri senza direttori titolari, per cui si comprenderà come sia pietoso cercare esclusivamente nelle statistiche, riguardanti il crescere della popolazione detenuta, la giustificazione di un disastro che, quando esploderà, sarà ancora più grande della “munnezza” di Napoli, detenuti come la diossina, più della diossina, e con loro, nello stesso braciere, “sversati allo stesso modo”, quanti hanno avuto la velleità di credere nell’art. 27, comma 3° della costituzione, quanti ancora sperano che ci si accorga per davvero dell’importanza di ciò che fanno, con coraggio ed ogni giorno, gli operatori penitenziari, costretti nell’ingrato compito di “dividere uomini” tra loro, tenuti a fronteggiare, ogni minuto-secondo, tutte le espressioni che le criminalità possono inventarsi, eppure ancora molti di loro, tenacemente, sperare di riportare nel consorzio sociale quanti desiderino per davvero riconciliarsi con la società…
Questi ed altri pensieri affollano spesso la mente dei nostri operatori penitenziari, e talvolta taluni non ce la fanno, implodono nell’unica certezza a loro data, il continuare a svolgere il proprio lavoro in termini di precarietà esistenziale ed organizzativa, sotto il continuo rischio di minacce e denunce, e la fanno finita lasciando attoniti ma non sorpresi quelli che ancora resistono…
C’è chi dirà che la colpa è dei regolamenti, dell’eccessiva disciplina che viene imposta al personale dipendente, ma non è vero, eventuali eccezioni non fanno una regola: chi conosce un po’ da vicino i direttori penitenziari ed i comandanti di reparto sa che si tratta di persone che non hanno il tempo di odiare, ne di tramare e neanche di tremare, devono solo REMARE.
La conclusione è che, in realtà, si è costretti a registrare la mancanza di rispetto verso tutti i lavoratori del settore penitenziario: basterebbe pensare che, ad oggi, i direttori delle carceri e degli uffici dell’esecuzione penale esterna sono ancora senza il loro primo contratto di lavoro, a distanza di oltre due anni dalla Legge MEDURI istituiva della dirigenza penitenziaria…
Il Segretario Nazionale
Dr. Enrico SBRIGLIA

 

 

 

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