Come è certamente noto alla S.V., il personale della carriera dirigenziale penitenziaria è destinatario da oltre cinque anni della Legge n. 154/2005, nonché, da oltre quattro anni, del D.lgs. n. 63/2006.
Mentre alcune norme di quest’ultima, ad esempio quella rivolta - in particolare - a quanti, già direttori generali, pur non provenendo, dalla specifica carriera dei direttori penitenziari, non avendo essi esperienza diretta della gestione degli istituti penitenziari, sono state perfettamente applicate, in quanto avrebbero arricchito, con il loro bagaglio professionale, l’amm.ne, altre, e paradossalmente quelle che riguardano proprio i direttori penitenziari d’istituto e di uepe, stentano ad essere correttamente attuate.
Per cui si assiste alla singolare situazione che vede una legge, destinata ai direttori penitenziari, non spiegare gli effettivi riconoscimenti proprio in capo a quelli che secondo il Legislatore ne erano i diretti interessati, mentre ne beneficiano altri, seppure provenienti dall’esterno.
Già questo motivo avrebbe potuto spiegare l’esigenza di trovare la ragionevole e satisfattoria composizione della questione che seguirà.
Si vuole, infatti, rappresentare come i direttori penitenziari d’istituto e di uepe stiano attendendo, oltre che la stipula del primo contratto di lavoro, ed ancor prima di quest’ultima, la corretta applicazione delle norme di salvaguardia contenuta all’art. 28 del D.Lgs. 63/2006, il quale prevede il diritto alla ricostruzione della carriera attraverso il computo di tutta l’anzianità di servizio, maturata con riferimento alle pregresse qualifiche dirigenziali e direttive, ovvero posizioni economiche di provenienza.
Però, a fronte di una norma intelligibile nella sua interpretazione (basterebbe riflettere sul fatto che sia intitolata “clausole di salvaguardia”…), la quale con chiarezza ha inteso caratterizzare la speciale carriera dei direttori penitenziari, e nonostante che si sia susseguito un significativo numero di ricorsi, vinti dai colleghi del Dipartimento della Giustizia minorile, che hanno visto ribadito il riconoscimento dal Consiglio di Stato, nonché di un parere reso dal medesimo Collegio su istanza, invero capziosa e irrituale, presentata, per altro, da organo incompetente dell’Amministrazione penitenziaria, ove si ribadisce l’applicazione della norma predetta, l’Amministrazione continua a denegare un diritto certo e palese, ingenerando in momenti come gli attuali, che vedono le carceri in fermento, un ulteriore non edificante contenzioso tradotto in termini di ricorsi al T.A.R. o di ricorsi straordinari al Presidente della Repubblica.
La S.V. certamente comprenderà come sconcerti, ed offenda, la circostanza che il Dipartimento, piuttosto che procedere ragionevolmente all’applicazione dell’art.28 precitato, ricostruendo, sulla base di corrispondenti pareri già pervenuti dal Consiglio di Stato, la carriera del personale interessato, attraverso il computo dell’intera anzianità di servizio, continui insensatamente ad opporre il proprio silenzio sulle legittime richieste dei dirigenti penitenziari, favorendo un contenzioso tanto inutile quanto defatigante e dannoso per l’erario, nonché fonte di acredine verso un’amm.ne che solo per alcuni applica la 154/2005 e norme ss., mentre per quanti stanno, spesso in prima linea, analoga attenzione non viene riposta.
Per inciso, il T.A.R. del Lazio – sezione Prima Quater – nella Sentenza N. 11036/2009, additando all’Amministrazione il comportamento da tenere nel caso di specie, ha rappresentato “ che il Consiglio di Stato si era già espresso nel senso auspicato dai ricorrenti….. e che la presenza di numerose pronunce rese dal medesimo Consiglio di Stato in sede di altrettanti ricorsi straordinari (pareri n. 551/2009, 552/2009, 553/2009, 554/2009 e 555/2009, ), adottate nei confronti dei colleghi dei ricorrenti in pari situazioni, fa ritenere che le istanze di questi ultimi avrebbero meritato una sorte diversa da quella del silenzio su di esso serbato dall’Amministrazione penitenziaria ( cfr. pagg. 2 e 4 della citata sentenza).
Ciò detto, auspicando che l’amm.ne non voglia assumere pratiche pilatesche ed evasive, semmai cercando sponda in altri contesti amministrativi che non conoscono la realtà delle carceri e della sua complessa organizzazione, al fine di aggrapparsi, attraverso la formulazione di ambigui quesiti, a risposte ulteriormente dilatorie e/o dubitative di altri organismi (tanto il problema concreto non sarà di quelli che si esprimeranno…), si confida nel fatto che Ella, comprendendo lo sdegno che sta montando nella categoria, di cui ha scelto di essere uno dei più autorevoli rappresentanti, voglia interrompere una così sleale ed infelice postura amministrativa, gravemente lesiva dei diritti del personale della carriera dirigenziale penitenziaria, disponendo senza remore, e con somma urgenza, per la corretta ed integrale applicazione dell’art.28 del D.Lgs. 63/2006, così come chiaramente delineata dai pareri del Consiglio di Stato.
Nel contempo, Le si chiede, cortesemente, di voler convocare questa organizzazione sindacale, certamente la più rappresentativa, per un urgente incontro che costituirebbe occasione per un confronto sulla questione. Si resta in attesa di riscontro e si porgono i più cordiali saluti
Il Segretario Nazionale Dr. Enrico SBRIGLIA
F.to
Il Presidente – dr.ssa Cinzia CALANRINO
Il Vicesegretario – dr. Rosario TORTORELLA
Il Vicesegretario Aggiunto – dr. Francesco d’ANSELMO