(I DIRETTORI PENITENZIARI DEL SI.DI.PE. CONTESTANO LA BOCCIATURA DI DUE ARTICOLI DEL DDL ALFANO)
Siamo rammaricati della circostanza che, come ci riportano le news di stampa, la commissione Bilancio di Montecitorio possa aver bocciato due articoli del ddl Alfano i quali prevedevano la possibilità delle persone detenute di scontare l’ultimo anno di pena ai domiciliari e la previsione dell’assunzione di 1.500 poliziotti e 1.500 Carabinieri, oltre che il necessario minimo adeguamento del personale di polizia penitenziaria e del ministero della Giustizia, fortemente carenti negli organici.
Così come non comprendiamo la posizione contraria che sarebbe stata espressa, in Commissione Bilancio, dal sottosegretario all’Economia Alberto Giorgetti, circa la possibilità per i detenuti tossicodipendenti o alcoldipendenti di scontare la pena residua presso strutture sanitarie pubbliche o private accreditate, in ragione della preoccupazione che tanto avrebbe determinato maggiori oneri, non quantificati né coperti, a carico del Servizio Sanitario Nazionale.
Non è comprensibile, infatti, che proprio da quelle parti politiche che proclamano un continuo richiamo alla materia della sicurezza pervengano, al contrario, decisioni che alimentano uno stato di oggettiva “insicurezza”.
Il mancato rimpiazzo delle risorse umane, a seguito dei pensionamenti, all’interno delle FORZE DELL’ORDINE e dei settori pertinenti (operatori penitenziari, operatori giudiziari, etc.) corrisponde immancabilmente ad un depotenziamento della risposta dello Stato alle criminalità.
L’uso delle tecnologie, se non accompagnato dalle forze umane che le governano e le usano, risulterà soltanto essere una SICUREZZA DI FACCIATA: le telecamere, infatti, non proteggono i cittadini da aggressori ne arrestano un scippatore, le auto delle forze dell’ordine non sono telecomandate a distanza, i poliziotti di quartiere o i poliziotti penitenziari che sorvegliano le mura di un carcere non sono sostituibili da artificiali “sagome” capaci di “stoppare” un malintenzionato; così come sembra singolare pensare che maggiori risulterebbero i costi dello Stato ove i detenuti, alcoldipendenti e tossicodipendenti, debbano far carico alle strutture sanitarie pubbliche o private, inducendo a ritenere che, ove invece rimanessero in carcere, i costi nei loro confronti sarebbero inferiori: l’unico modo, infatti, per abbattere i costi è nel favorire la premorienza delle persone detenute semplicemente non prestando loro assistenza sanitaria…, fermo restando che curare in carcere costa certamente di più ed i rischi per la salute, non solo delle persone ristrette, ma di tutti coloro che per ragioni diverse frequentano istituti penitenziari e palazzi di giustizia, sono maggiori, così come la dilatazione dei tempi per le cure, a mente dei vincoli e delle prescrizioni ai quali i sanitari, gli specialisti, etc. devono sottostare in ragione del particolare ambiente nel quale devono operare.
Va da se che nessun operatore penitenziario, degno di questo nome, accetterebbe di negare, avendone l’effettiva possibilità, le cure mediche a quante, persone ristrette, ne abbisognino: i poliziotti penitenziari, gli operatori penitenziari tutti, infatti, non sono manichini sprovvisti di coscienza e di umanità, anzi, è proprio in ragione esclusivamente della loro sensibilità e spirito di servizio che il sistema, nonostante tutto, sta ancora “tenendo”.
Le cronache, purtroppo, sanno riportare con maggior risalto solo le negatività, ma la lista degli interventi salvifici degli appartenenti alla polizia penitenziaria o delle altre specialità, ad esempio nei casi di tentativo di suicidio, così come nelle situazioni in cui immediati sono risultati i soccorsi nei casi di improvviso malore dei detenuti, insieme al supporto che essi offrono a chiunque si trovi in difficoltà, sono notizie che non interessano perché, probabilmente, costituendo la normalità dei comportamenti, rappresentano tra l’altro il DOVERE di ciascuno di essi, non appaiono meritevoli di celebrazione giornalistica.
Ma anche il DOVERE deve essere favorito ed alimentato da riconoscimenti concreti, alias con risorse sia per il sistema penitenziario che per premiare il sacrificio di ognuno, altrimenti rischia di impoverirsi, di consumarsi, inaridirsi e ridursi…
Allora che la buona politica abbia un colpo d’orgoglio, si risvegli, e si mostri davvero capace di declinare le priorità irrinunciabili, e tra queste il diritto dei cittadini ad una buona GIUSTIZIA ed ad una concreta SICUREZZA o, quantomeno, la smetta con l’ipocrita pantomima di fingere attenzione solo parolaia su questi temi, ove non accompagni le solenni proclamazioni con le risorse effettive, impegnandosi nel supportare e favorire l’azione del Ministro ALFANO su questi temi, piuttosto che mutilarne l’iniziativa che rischia di essere anche tardiva. La situazione dei direttori penitenziari è al riguardo emblematica: sono cinque, diconsi cinque, anni che sono SENZA CONTRATTO: Non si tratta di contratto collettivo “congelato”, ma proprio di assenza di contratto collettivo di diritto pubblico: E’ UNA VERGOGNA !
Così come sono anni che si vede il personale della polizia penitenziari decrescere, mentre si urla al sovraffollamento delle persone detenute nelle carceri, sono anni che si registra la riduzione delle risorse finanziarie per gli istituti penitenziari e per gli uffici dell’esecuzione penale esterna, al punto che non è possibile garantire le ordinarie e periodiche manutenzioni dei diversi impianti, con tutti gli inevitabili riflessi sulla SICUREZZA delle strutture, non messe “a norma” !
Quando parlano di “tagli” alla Giustizia ed al Settore Penitenziario, di cosa stanno veramente parlando, cosa intendono dire, a quali realtà e situazioni fanno riferimento ?
Se taluni hanno dubbi su quanto i direttori del SI.DI.PE. affermano, si accomodino e chiedano di essere autorizzati a fare una settimana di beauty-farm nelle carceri italiane. Insomma, siamo delusi dalle chiacchiere e vorremmo finalmente i fatti !
Dr. Enrico SBRIGLIA
Segretario Nazionale del SI.DI.PE. (Sindacato Direttori Penitenziari)