IL FINTO PRETESTO DELLA LITE PERMANTENTE TRA I
DIRETTORI, IL PERSONALE DI POLIZIA PENITENZIARIA ED IL
PERSONALE “MINISTERIALE”
Ancora una volta, nel corso della trasmissione televisiva “Notizie Oggi” su CANALE ITALIA,
andata in onda il 21 scorso, alla quale hanno partecipato il Segretario Nazionale del SI.DI.PE.,
Enrico SBRIGLIA, il Segretario Nazionale Aggiunto del SAPPe, G.Battista DURANTE, ed
il Vicesegretario Generale dell’OSAPP, Domenico NICOTRA, e nel corso della quale sono
intervenuti il Sig. Giovanni CUCCHI ed il Garante dei Detenuti del Lazio, Angiolo MARRONI,
si è registrata, univoca e condivisa, la pretesa di parte sindacale che l’amm.ne e la Politica
si adoperino per rendere effettivo il dettato costituzionale di una pena la quale, tendendo alla
rieducazione del condannato, sia espiata in condizioni di dignità ed in sicurezza.
Sinceramente rattristati per quanto accaduto al giovane Stefano CUCCHI, e confortati dal fatto
che, attraverso lo strumento processuale potrà provarsi a stabilire la verità sui fatti, ribadendo
la convinta fiducia nell’operato della magistratura, si è voluto anche sottolineare come risulti
ingeneroso e sbrigativo liquidare fatti così gravi, inducendo a ritenere che possano essere stati
determinati da un disimpegno del personale penitenziario di tutti i ruoli e comparti: la verità sta
esattamente nell’opposto, gli operatori penitenziari hanno fatto finora l’impossibile, hanno
ormai dato tutto e risorse residuali, benché minime, non ve ne sono...
E’ arrivato perciò, il momento che l’attuale Governo ed il DAP si assumano le proprie
responsabilità, evitando di “scaricare” le colpe di un sistema impazzito su quanti, spesso
in perfetta solitudine, operano all’interno delle carceri dove non il superfluo, ma il minimo
necessario, continua a mancare, soprattutto in risorse umane.
La similitudine di analisi, il comprendersi facilmente, il sentirsi non in posizione di conflitto, ma
destinatari dello stesso mandato costituzionale, seppure con competenze concorrenti, l’approccio
al reciproco rispetto ed ascolto, sono elementi emersi chiaramente nel corso del dibattito televisivo,
ben lontano quest’ultimo dalla rappresentazione consueta delle risse e degli scontri televisivi ai
quali si è costretti ad assistere in altre trasmissioni.
Insomma, anche la bugia di una continua guerra di religione tra le sigle sindacali è caduta
miserevolmente e si è certi che, pure ove avessero partecipato altre organizzazioni sindacali,
ancora una volta sarebbe prevalso il buon senso, la reale competenza di quanti conoscano
dal di dentro la realtà penitenziaria, perseguendo esclusivamente il miglioramento del sistema,
il “rispetto” che si debba agli operatori penitenziari tutti, la passione per un lavoro speciale che
richiede doti morali e civiche rilevanti, il forte senso dello Stato e l’altrettanta capacità di
servire, per davvero, la Collettività.
Nessuno dei partecipanti ha tirato acqua al proprio mulino, bensì con pacatezza e convinzione
sono state espresse le perplessità, constantando come, nonostante il trascorrere dei mesi, non si
siano registrati fatti nuovi, che si concretizzassero in:
1. ragionevoli maggiori risorse umane di polizia penitenziaria e di tutti i ruoli presenti,
comprensivi di quelli “civili”;
2. ragionevoli maggiori risorse finanziarie da utilizzare in sede periferica;
3. ragionevole ricorso ad automatismi, in sede di condanna, che prevedano l’esecuzione
di misure alternative alla pena per i reati di minore allarme sociale, condizionando i relativi
programmi precipuamente verso la formazione professionale ed il lavoro; 4. sforzo creativo nella realizzazione di nuovi istituti penitenziari, i quali – essendo
luoghi del vivere – devono poter coniugare le esigenze di “sicurezza” con quelle
della “dignità”, in quanto, oltre ad ospitare persone private della libertà (e solo questo
già basterebbe…), vedono al proprio interno anche gli operatori penitenziari, non
essendo ragionevole, oltre che corretto, che lavorino in condizioni di maggiore stress,
favoriscono uno stato situazionale di in grado di favorire la demotivazione e la
deconcentrazione, oltre che la mortificazione delle aspettative, al fine di non far
percepire come “colpa” la coraggiosa scelta di aver scelto di lavorare nel difficile mondo
delle carceri.
Il 13 gennaio 2010 è stato decretato lo stato d’emergenza delle carceri.
Al di là delle mere solenne dichiarazioni, finora nessun progresso risulta essere stato
percepito all’interno delle carceri, dove i detenuti continuano a morire per suicidio e/o per
malattia.
Gli operatori penitenziari continuano a percepire la mancanza di un progetto strategico
capace realmente di fare superare l’emergenza, vivendo in periferia uno stato che è percepito
diffusamente come di abbandono dal “centro”.
Ciononostante, i Sindacati del mondo penitenziario, mostrando maturità, sensibilità, effettivo
rispetto dei diritti umani, legittime preoccupazioni in tema di sicurezza, continuano ad essere
pronti per ogni proficuo confronto, cosa si aspetta allora ?